LA SCOMPARSA DI PABLITO, L’EROE MUNDIAL IN GRADO DI UNIRE L’ITALIA

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paolo rossi

DOPO MARADONA, CI LASCIA ROSSI, QUEL FOLLETTO IN MAGLIA NUMERO 20 CHE REGALÒ IL MONDIALE IN SPAGNA.

Dopo El Pibe Maradona, ora anche Pablito Rossi. Così il destino in questo 2020 bara due volte, per altro in pochi giorni, portandosi via un altro personaggio di un certo calibro, un simbolo. Genio in grado di far discutere il primo, capace di unire l’intera Penisola il secondo. C’è un’immagine che può certificare l’idea di un’Italia unita grazie alle prodezze del numero 20 che ci regalò la Coppa del Mondo in finale contro la Germania. Ed è una fotografia dove sull’aereo, al ritorno dallo stadio Bernabeu di Madrid teatro della partitissima, Bearzot, il tecnico di quei ragazzi formidabili, giocava a carte a scopone in coppia con Franco Causio contro Dino Zoff e il presidente della Repubblica Sandro Pertini. Come fossero quattro amici al bar. E Zoff litigò anche con Pertini per un 7 di troppo. Gli italiani ricordano quando il presidente si alzò in piedi per applaudire gli azzurri.

Paolo RossiOggi le istituzioni sono sempre più lontane dalla persona comune, e a dire il vero lo sono anche i giocatori. L’Italia in grado di supportarsi nei momenti di buio. Per certi versi è accaduto nel 2006 quando la pioggia di critiche per via del noto caos giudiziario “calciopoli”, anziché abbattere i giocatori li unì, e furono abili a farsi scivolare addosso tutto arrivando in finale con la Francia, battendola ai calci di rigore. Tanti campioni in squadra: Totti, Del Piero, Nesta, Inzaghi, Pirlo e due inaspettati: Materazzi e Grosso. Nel 1982 invece ci riuscì quasi da solo questo eroe, Paolo Rossi, a rilanciare una nuova immagine dell’Italia nel mondo. Con i suoi 6 gol in 5 match (3 al Brasile, 2 alla Polonia e uno alla Germania) l’attaccante, che neanche si aspettava di essere convocato per “España 82”, alla fine fece riversare nelle strade e nelle piazze un Paese intero, in estasi per esser tornare a festeggiare un successo mondiale atteso da 44 anni e per aver chiuso il sipario definitivamente sulla drammatica stagione degli Anni di piombo caratterizzati, tra gli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, da violenze di piazza, lotta armata e terrorismo.

Centravanti di media statura, rapido e con una tecnica non discutibile, Paolo Rossi era un rapace d’area di rigore. Capace di essere al posto giusto al momento giusto, sbucando dal nulla, imprevedibile per gli avversari, che fossero gli organizzatissimi tedeschi o i fantasiosi carioca brasiliani. Due anni prima era stato coinvolto nella vicenda delle scommesse illegali nonostante avesse sempre rivendicato la sua innocenza. È cresciuto nel vivaio del Lanerossi Vicenza, indossando poi le maglie del Perugia, Juve, Milan e Verona. Ha vinto il Pallone d’Oro dopo l’impresa mondiale.

Paolo RossiSe n’è andato con “gran dignità”. È morto all’ospedale Le Scotte di Siena all’età di 64 anni, a causa di un tumore ai polmoni che l’aveva colpito un anno prima. Non ha detto niente a nessuno nemmeno ai suoi storici compagni di nazionale (Conti, Tardelli, Altobelli, Cabrini, e via via gli altri) che hanno portato la salma al duomo di Vicenza.

Il giorno precedente migliaia di persone gli avevano reso omaggio presso la camera ardente allestita eccezionalmente sul terreno dello stadio Romeo Menti. Mentre, vergogna mondiale, durante il rito funebre i ladri hanno svaligiato la sua abitazione.
E a testimonianza di che persona fosse, raccontiamo quanto vissuto da un nostro lettore che nell’82 si trovava in albergo proprio con Pablito e gli altri eroi dell’Italia di Bearzot. Si chiama Fabio Ferri. “Ricordo con enorme affetto l’indimenticabile Paolo – dice Fabio – ho avuto l’onore e la gioia di vivere quei magnifici giorni con loro in Spagna, e a dire il vero anche quattro anni prima in Argentina, perché ospite della Figc al seguito della nazionale azzurra che ci vide trionfare. Ero con Paolo insieme a tutti gli altri splendidi compagni e al nostro mitico ct Bearzot anche lui indimenticabile e artefice di quella bellissima vittoria”. Il padre di Fabio, il ragionier Enzo Ferri, era accompagnatore della nazionale italiana negli anni precedenti. “Per quello poi mi son trovato lì ospite nell’albergo dei dirigenti – aggiunge Fabio – persone squisite, tra cui anche Bearzot, un signore e un gentiluomo. Era molto amico di mio padre. Ma il gruppo era unito, i giocatori, Rossi compreso, tutti alla mano. Si fermavano a parlare con te, a prendere un caffè, a farsi una foto o firmare un autografo. Non finirò mai di essere grato a quel simbolo in maglia numero 20 che ci ha lasciato un grande vuoto a tutti noi italiani”.