di PIETRO ZOCCONALI *
A Roma, lo scorso 3 marzo, presso una delle sale del Senato della Repubblica, sono stato invitato al convegno di cui al titolo, dall’organizzatrice dei lavori d.ssa Manuela Marchetti e dal Senatore Bartolomeo Pepe; convegno che, con un approccio multidisciplinare, ha affrontato il fenomeno dei reati contro la persona, un problema atavico ma sempre più attuale.
Scopo degli organizzatori era quello di organizzare una giornata di studio che analizzasse tutti i principali fenomeni inerenti i reati a scapito dei deboli, delle donne e dei minori, e le possibili modalità di prevenzione, recupero e supporto. Sono stati anche forniti gli strumenti giuridici per la conoscenza delle varie tipologie di reato. Attualmente si ha la sensazione che siano aumentati considerevolmente, forse a causa del rilievo mediatico che ne scaturisce, o forse per colpa della globalizzazione, della “società liquida” (Baumann) e dell’epocale immigrazione che sta subendo l’Italia, immigrazione costituita quasi sempre da povera gente che, giunta nel nostro Paese, si ritrova disadattata e in certi casi trattata in modo ostile dalla popolazione autoctona. “Mors tua vita mea” è una locuzione latina che, guardando oltre il tono drammatico del senso letterale, sta a significare che la persona non integrata, per raggiungere un traguardo, che in molti casi consiste nel sopravvivere in un ambiente ostile e riuscire a vivere in un modo più decente che in precedenza, è costretta ad infrangere le regole comportamentali, anche se con la coscienza di commettere crimini contro altre persone. In ultima analisi questi individui sono disposti a rischiare di finire in carcere per reati compiuti individualmente, per far parte di organizzazioni criminali o peggio ancora, per aver abbracciato pericolose ideologie e per aver accettato di far parte di cellule terroristiche. La sociologia, la letteratura e il cinema ci hanno ben chiarito che quando si sbarca in terra straniera, soli, disperati e malnutriti, ignorati dalla società bene del posto, è facile essere fagocitati dalla malavita che, agendo subdolamente, vive e prospera ai margini della società, e che, per continuare a delinquere, ha sempre più bisogno di braccia nuove e di teste da sacrificare. Mi sembra logica la soluzione: interrompere questo rifornimento alla malavita cercando di integrare più persone possibili senza dimenticare i fondamenti della civiltà, il rispetto per altri esseri umani, anche se più deboli, ed emarginati. Ma gli atti criminosi più subdoli sono quelli che in molti casi si consumano all’interno delle mura domestiche da parte di uomini che, fuori dalla porta di casa sono i classici vicini dal “buongiorno” e “buonasera” facili, e che all’interno delle mura domestiche si rivelano dei tiranni con i propri familiari, donne e bambini (in special modo le bambine), che diventano succubi del “padrone” e dei suoi capricci che a volte portano a risultati mostruosi. Uomini che, se la compagna non sottostà ai loro voleri o se cerca di rifarsi una vita, considerandola di proprietà come fosse un’automobile, vanno fuori di testa, feriscono, cercano di deturpare il loro corpo, uccidono. Quando leggiamo certe notizie o le vediamo il TV rimaniamo di stucco, e subito pensiamo si tratti di persone di basso livello sociale, di disadattati, molte volte, invece, si tratta di crimini commessi ad es. da impiegati di banca, guardie giurate, gente di tutti i ceti sociali che, come nel film “Un giorno di ordinaria follia” (1993, di J. Shumacher, con M. Douglas), per vari motivi dovuti a problemi sentimentali, dissesti finanziari, stress da lavoro o da non lavoro, imbraccia il fucile e spara, sempre a danno dei più deboli e indifesi. In definitiva, sembra un controsenso ma, per vivere bene e in modo sereno bisognerà fare in modo che intorno a noi ci sia gente che viva bene e serenamente.
*Presidente Ass.ne Naz.le Sociologi