UNA GITA FUORI PORTA ALLA GROTTA DELLE FATE

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gita fuori porta

IL RACCONTO DI UNA SCAMPAGNATA DEL 1838 È RIVELATORE DELLA BELLEZZA DELLA SPELONCA DETTA ANCHE “DELLE STALATTITI” E DI ALCUNI ANEDDOTI RELATIVI ALLA CERVETERI “SCOMPARSA”

di Angelo Alfani

A partire dagli anni venti e per tutti gli anni trenta dell’Ottocento la falce del colera mieteva a cottimo in ogni dove. Solamente lo Stato Pontificio ne era immune. Poi Il 10 luglio del 1837 a Roma muore il primo contagiato. Il 24 luglio, all’ospedale San Giacomo, è la volta di una donna. Sarà un crescendo di mortalità fino al 10 settembre 1837, poi inizierà una fase calante, con la dichiarazione ufficiale della fine dell’epidemia il 3 novembre. Ed è probabilmente nella primavera del 1838 che il dottor Cav. Andrea Belli fece la scampagnata nel territorio del Sasso, raccontata nel suo Diporti e riposi villerecci, incuriosito dalle notizie che, se pur fievoli, circolavano ancora sulla prodigiosa grotta delle serpi, ma ancor più desideroso di libertà. Quanto racconta è interessante per alcuni aneddoti relativi a Cerveteri e per la struggente descrizione della natura del territorio del borgo di montagna. L’illustre Primario dell’Ospedale della Consolazione, in compagnia di un sommo Religioso e dell’amico Zazzera, raggiunse, di buon mattino, “Cervetri, che siede sulla ultima punta meridionale di una lunga lacinia di tufa tagliata a picco da tutte le parti, meno verso settentrione, dove soltanto è facilmente accessibile”.

Con somma generosità furono ospitati dal Rev. Alessandro Regolini, “benemerito sommamente per l’escavazioni del più classico dei sepolcri etruschi, da lui sagacemente discoperto”. Visitarono la famosa Necropoli e “gli avanzi lacrimosi delle antiche mura: ma su tutti i ruderi sta scritta a grandi cifre la sentenza, che nessuna cosa quaggiù può sottrarsi alla possanza sterminatrice del tempo”. Dopo aver visitato la chiesa Madre, con circospezione si introdusse anche nella chiesa di San Martino, abbandonata perché a rischio crolli. Detta chiesa era appoggiata all’attuale Mascherone, di fronte alla canonica del Reverendo tombarolo, che emanava fragranze dal suo giardino di agrumi. Il racconto prosegue: “Vidi due pregiatissime dipinture in tavola, una delle quali è a maniera di trittico: e spero che dalla superiore intelligenza saranno quanto prima rivendicate dall’oblio e poste in serbo per sottrarle dal deperimento, a cagione della umidità e della pioggia.”

Lasciata Cerveteri percorsero circa otto miglia prima di giungere al Sasso attraversando campagne ricche di mandragole, nocchio selvatico, acanto, e mandrie di mucche e capre. Come Cerveteri era famosa per i suoi cannellini così queste terre lo erano per i prugnoli che “disseccati sorpassano nel sapore e nell’odore i prugnoli raccolti nelle montagne degli Abruzzi interiori”.
Senza porre tempo in mezzo, si diressero verso la grotta delle Serpi. Grande fu la delusione nell’incontrare d’attorno solo tre ramarri ed un serpente. Preso dallo sconforto l’illustre medico domandò alla guida ”in dialetto campestre” se ci fossero lì vicino antri, dirupi, grotte, caverne e rompicolli.
Si può vedere la grotta delle Fate” rispose il villico. “Va innanzi che io ti seguo!”. Il sentiero era irto di difficoltà, ma il desio di vedere una cosa non prima conosciuta le fece superare.
Giunto con quella celerità che natura mi consente, al divisato luogo, mi si aprì all’avido sguardo la scena incantevole che sorpassa i veientani prestigi, e la magnificenza degli
artificiosi giardini di Alcinoo”. La grotta, lontana due miglia dalla Villa del Sasso, circondata da verdissimi pioppi, è esposta al benefico soffiare del fresco vento proveniente da Ovest e mostra quel bello che in arte dicesi orrido, “senza che la mano di uomo vi abbia preso parte, essendo tutta opera della maestra natura che non ricopia giammai se stessa.(…) Sono coperti i circostanti colli da piante verdissime che amano il fresco, e coronati di arbusti in piena vegetazione; l’antro può formare la delizia dei dipintori della natura; le rocce dirupate, di color lionato imbrunito dal tempo, formano un quadro che compensa il disagio della via, e la solitudine perfetta eccita la fantasia a quel genere di componimenti chiamato grottesco-romantico”. Nelle latebre, dove non ci sono che ignudi sassi, si internano due aperture nelle quali non penetra la diletta e rosata figlia del giorno.

Barcollando ed inciampando i visitatori si bloccano esterrefatti nel vedere il bellissimo frastaglio delle poliformi stalattiti: dalle coniche alle mammillari, alle cilindriche bitorzolute. Il tempo corre veloce nell’ammirare tanta bellezza e, per evitare la cupa ombra che inesorabile si allunga sui monti, fecero ritorno a Cerveteri con gli acconci mezzi, che n dall’andare alla grotta, gli erano stati procurati dal possidente sig. Paolo Calabresi ed il Prof. di Medicina Alessandro Piergentili. “Ci assidemmo a mensa col Rev. Regolini, e i nostri parlari furono intorno a quanto avevamo veduto e nel seguente giorno, salutata quella memoranda parte della Etruria antica, ritornammo ai patri lari nelle alte mura di Roma e la madre patria ci fu di conforto al dispiacere di aver lasciato Cervetri”. Il racconto termina con il consiglio di andare a visitare la grotta delle stalattiti, dopo essersi procurata una guida esperta che, “senz’andar per le lunghe, alla difficile e ascosa giacitura dell’antro agevolmente li meni”.

P.S.
Desidero porre attenzione alla disdicevole presenza nel Borgo di una struttura, oramai fatiscente, costruita come lavatoio per le sassaiole. Tale struttura fa da continuum a un antico fontanile interamente coperto da fitta erba smeraldina sulla quale si abbeverano decine di api. Uno spettacolo a vedersi. Sarebbe opportuno, vista la manifesta inutilità del nuovo manufatto, liberare allo sguardo la bellezza del solo fontanile.