La scoperta di un vaccino per il nuovo Coronavirus, almeno l’annuncio della sperimentazione in fase avanzata sull’uomo, assomma due effetti portentosi che contemporaneamente si fondono tra loro. Il nuovo vaccino è una caccia al tesoro che ricorda la “corsa all’oro” del western americano.
Dietro l’aspetto umanitario e sociale vi sono non trascurabili ricavi in termini economici; ma anche di prestigio in ambito medico.
Scoprire e realizzare un vaccino efficace sta impegnando ogni eccellenza medica in varie parti del mondo e, come dicevo, anche solo il suo annuncio alla popolazione provoca un effetto antiansiogeno, di rassicurante concreta certezza. L’aspetto commerciale coincide con quello di attenuare o far scomparire l’ansia sociale, dissolvere soprattutto la paura di potere andare incontro ad una morte orribile ad opera di un invisibile assassino che strangola togliendo il fiato fino a soffocare. In una popolazione tenuta per almeno due mesi in quarantena più che l’ansia (ossia la paura di qualcosa che non si conosce) prevale la fobia (paura concreta verso un nemico o un oggetto o, una condizione di disagio ben preciso come quella del sangue, di un’arma, delle grandi altezze, della malattia specifica…).
Nel caso del Covid-19 la fobia è giustificata e razionale perché dalle immagini in televisione e dalle notizie giornalistiche, si tratta di una minaccia reale.
Oltre all’ansia e alla fobia può instaurarsi l’ossessione.
Di che cosa si tratta?
Di una condizione mentale patologica che pur avendo origine da input provenienti dall’esterno viene partorita e alimentata dall’interno dell’individuo, ossia dal suo encefalo.
Si tratta di pensieri angosciosi ricorrenti che non si riescono a scacciare dal cervello e comportano atteggiamenti di estrema chiusura interiore accompagnati da stati comportamentali di eccessiva igiene personale abitativa, talora persino gesti anti-iettatori o rituali.
La chimera di un vaccino che non è imminente perché ci vuole tempo, oltre alla sperimentazione prima sull’animale e poi sull’uomo è necessario effettuare un doppio cieco randomizzato tra soggetti sani trattati con placebo e altri col vaccino anti Covid-19, oppure sottoporre il vaccinato ad un surplus di carica virale. Sono passaggi questi delicati e non privi di rischi che non si compiono in pochi mesi anche se la “grancassa mediatica” ci ripete che, essendo in fase avanzata, sono prossimi.
Come ho già scritto in passato occorre puntare allo stato attuale (ma anche in futuro) sulla ricerca farmacologica che è già molto efficace soprattutto nelle fasi iniziali della malattia ma anche nei successivi e impegnativi quadri morbosi al fine di non arrivare alla sala di rianimazione in terapia intensiva.
Condizione questa che, come ha giustamente detto il professore Zangrillo, rappresenta un po’ una sconfitta nella strategia terapeutica.
Anche se è molto utile per salvare vite umane in condizioni disperate, in attesa di un vaccino efficace che possa essere somministrato a tutta l’umanità (forse è una chimera ma auguriamoci il contrario) ci sono dei buoni risultati già raggiunti da quella terapia farmacologica (e diversa da stadio a stadio della malattia) che si avvale anche dell’utilizzo di plasma umano di soggetti guariti (immunoterapia passiva).
Quali sono i test diagnostici veramente utili per valutare il nostro stato di immunità al Covid-19?
Sappiamo tutti che per verificare la nostra immunità acquisita (quella innata non si può finora testare) e accertarsi della eventuale presenza del virus nell’organismo si ricorre rispettivamente ai test sierologici (prelievo ematico dal dito o dalla vena) e all’utilizzo del tampone naso-faringeo.
Quali le eventualità?
Si ricorre all’esempio del semaforo con 4 eventualità:
Semaforo verde: tampone negativo e presenza di anticorpi IgG (immunità in atto).
Il soggetto ha avuto la malattia ma l’ha brillantemente superata. Le perplessità riguardano quanto sia la potenza e l’efficacia di questi anticorpi (immunità attiva) e per quanto perdurino. Sono stati segnalati casi di reinfezioni in pazienti dichiarati guariti.
Semaforo giallo: tampone e anticorpi entrambi negativi. Il soggetto risulta “vergine” non certo ammalato ma suscettibile di infettarsi perché non è venuto minimamente a contatto con il virus.
Semaforo rosso: tampone positivo e assenza di anticorpi IgG. Il paziente sia esso sintomatico o asintomatico, è malato, va posto in isolamento e curato (a casa o in ospedale a seconda della sintomatologia). Deve stare lontano dai pazienti con semaforo giallo.
Semaforo intermedio tra il rosso e il verde (lasso di tempo che intercorre tra il rosso e il verde). Tampone positivo e presenza iniziale di anticorpi (prima IgM e poi IgG). Il paziente è ancora malato ma sta combattendo la sua battaglia per guarire (semaforo verde con negatività del tampone e presenza di anticorpi).
Da quanto detto nessuno dei due test isolato (ossia da solo) ci può dare un veritiero quadro della condizione morbosa infettiva. Un tampone isolato negativo, non ripetuto, può essere stato effettuato nel periodo di incubazione della malattia (variabile in genere da 5 ai 14 giorni) e pertanto non essere attendibile (falso negativo).
Alla stessa stregua i soli test sierologici positivi (presenza di anticorpi) in assenza del tampone ci dicono che il soggetto è venuto a contatto con il Covid-19 e sta combattendo ancora oppure ha già vinto la sua battaglia (tampone negativo, semaforo verde).
A mio avviso per avere una patente di immunità (almeno provvisoria, spesso duratura) occorre eseguire entrambi i test.
Lo so che i tamponi naso-faringei sono più costosi ma è in questo campo che vanno soprattutto investite le risorse sanitarie al fine di avere un quadro clinico-epidemiologico chiaro e utile.