Era il 12 maggio 1974: la Società Sportiva Lazio si laureava per la prima volta Campione d’Italia con una giornata d’anticipo.
Di fronte ad un Olimpico stracolmo, Giorgio Chinaglia realizzava dagli undici metri il gol decisivo per battere di misura il Foggia e regalare il primo storico tricolore alla società biancoceleste. Tanti i volti legati a quell’incredibile impresa: da Maestrelli allo stesso Chinaglia, passando per Re Cecconi, Nanni, Pulici e Wilson. Una Lazio giovane, capace di entrare nella storia nonostante soltanto due anni prima militasse in Serie B. Ma gran parte dei meriti, a distanza di 30 anni dalla sua scomparsa, vanno a colui che è stato in grado, quella squadra, di metterla insieme. Il suo nome è Umberto Lenzini.
Lenzini nacque a Walsenburg, Colorado, ma la sua famiglia era originaria di Fiumalbo, piccola località dell’Appennino Modenese. Tornati in Italia, i Lenzini investirono i soldi guadagnati in America per comprare dei terreni a Roma: contemporaneamente, il giovane Umberto completa i suoi studi e diventa un calciatore professionista, passando poi all’atletica. Nel frattempo, la famiglia investe edificando nella zona di Roma Nord (Valle Aurelia, Pineta Sacchetti) all’epoca ancora disabitata, costruendo un importante impero finanziario. Lenzini diventa un imprenditore di successo e, nel 1964, entra a far parte del Consiglio d’Amministrazione della S.S. Lazio come vicepresidente. Soltanto un anno dopo ne diventa il presidente, ereditando il posto lasciatogli da Gian Casoni.
L’arrivo alla Lazio non è però dei più felici: il suo secondo anno di presidenza biancoceleste si conclude con un’amararetrocessione in Serie B. Tuttavia, grazie alla sua intuizione di richiamare sulla panchina biancocelste l’ex tecnico Juan Carlos Lorenzo, il club capitolino torna in massima serie. Seguono gli acquisti importanti di giovani come Nanni, Wilson, Chinaglia. Nomi destinati a rimanere indelebilmente legati alla storia della Lazio. Tuttavia, nel 1971, il club è nuovamente retrocesso in Serie B. Al posto tecnico Lorenzo, nonostante lo scetticismo dei tifosi, arrivò un uomo destinato a fare di lì a poco la storia: Tommaso Maestrelli.
Cosi, la Lazio di Lenzini e Maestrelli comincia ad ottenere importanti risultati, tornando in prima divisione e vincendo la Coppa delle Alpi del 1971. La squadra sembrava come trasformata, tant’è che nel 1973 arriva vicinissima alla vittoria dello scudetto, piazzandosi seconda. E’ però soltanto il preludio a quello che, la stagione seguente, sarà il primo grande successo della storia biancoceleste. La stagione 1973-74 si conclude con la vittoria del tricolore. Di lì a poco, Lenzini divenne “Il sor Umberto”; i tifosi in estasi non si risparmiavano dall’esprimergli il proprio calore. Celebre rimane il bagno di folla dello stesso 12 maggio, in cui 90 mila cuori biancocelesti accolsero la squadra campione d’Italia e il presidente.
Lenzini e Maestrelli avevano scritto più di una pagina di storia: il loro legame era molto stretto. Il periodo di malattia che precedette la scomparsa del tecnico fu duro per tutto l’ambiente. Dopo la sua morte, alla quale seguì quella di Luciano Re Cecconi, a Roma si infranse il sogno di vedere il club continuare a lottare per ambiti traguardi. Di lì a poco, seguirono vari problemi economici, scandali legati al calcioscommesse con conseguente squalifica di alcuni giocatori simbolo della Lazio e la retrocessione in Serie B della stessa. Furono anni duri, in cui il presidente Lenzini dovette lasciare nel 1980 la presidenza dapprima ai fratelli, i quali la riconsegnarono a loro volta Gian Casoni. Lenzini rimase presidente onorario fino alla sua morte, il 22 febbraio del 1987. Nel giorno delle sue esequie, oltre ai famigliari, tantissimi tifosi biancocelsti si riunirono per dare il loro ultimo addio a chi, per la prima volta, era stato in grado di regalare il sogno tricolore al popolo laziale.
fonte lazialita.it