di Alfonso Lustrino
L’essere umano commette sistematicamente un errore: cerca sempre il colpevole al di fuori di se stesso, per qualsiasi problema. È sempre colpa di qualcun altro o di qualcos’altro.
In questi giorni di emergenza per il virus Covid-19 stiamo vivendo un vero incubo e si dibatte in varie sedi sulle cause scatenanti. Ma qual è il ruolo dell’uomo in tutto ciò? Nel pieno della pandemia ci si affanna nella ricerca di un colpevole, di un capro espiatorio. Evidentemente si tratta di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.
Un ottimo servizio pubblico è stato svolto da trasmissioni televisive come “Report” e “Indovina chi viene a cena”, con servizi che hanno fornito ottimi spunti di riflessione.
E’ stato evidenziato come la maggior parte (circa il 70%) delle malattie umane fino ad oggi conosciute, anche questo virus deriva da un’interazione più o meno diretta fra animali e l’essere umano. Queste patologie sono dette zoonotiche, in quanto partono dall’animale e arrivano all’uomo attraverso un salto di specie del virus, il cosiddetto spillover. Lo scambio di patogeni è favorito in quei luoghi che agevolano il contatto interspecifico: non solo i mercati, legali o illegali, in cui si concentrano molti individui e più specie animali, ma anche i terreni deforestati che privano la fauna autoctona del loro habitat e gli allevamenti intensivi, tutti complici del deterioramento degli ecosistemi e della perdita di biodiversità.
Già nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute.
Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica, spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva. Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.
Molti ricercatori ritengono il contagio sia avvenuto proprio in un mercato, quello di Wuhan in Cina: una situazione che vede la presenza di molte persone in relazione con animali morti macellati vivi.
A rileggerlo oggi pare incredibile, ma un libro uscito nel 2012 anticipò con stupefacente esattezza tutti i dettagli di questa recente pandemia. Parliamo del saggio “Spillover”, che tratta appunto il salto di specie, scritto da David Quammen, divulgatore scientifico e giornalista. Secondo lo scrittore: «Stiamo invadendo e alterando gli ecosistemi con sempre più decisione, esponendoci a nuovi virus e offrendoci come ospiti alternativi. Siamo troppi e consumiamo le risorse in modo avido, e ciò ci rende una specie di buco nero che attira tutto, anche i virus. Dobbiamo ridurre velocemente le attività che impattano sull’ambiente, ridimensionare la popolazione e porre un freno alla domanda delle risorse.»
I ricercatori sanno che gli animali selvatici venduti nei mercati sono serbatoi di virus e di coronavirus. Lo sanno anche le autorità cinesi che hanno colpevolmente permesso che pipistrelli e altri animali selvatici venissero venduti, macellati, cotti e mangiati. C’è almeno un precedente di un coronavirus simile all’attuale Covid-19. Ma allora cosa ci spinge a reiterare sistematicamente gli errori? Possibile che solo pochi giorni fa il mercato di Wuhan sia stato riaperto?
Nelle trasmissioni televisive citate vengono messe a confronto le ipocrisie e le contraddizioni del sistema di sfruttamento delle risorse puntando su ricerche e progetti alternativi. Si è visto che sfruttare gli animali con la spietata logica del profitto provoca disastri. Si vedono allevamenti intensivi di suini nel cuore di foreste cinesi, per soddisfare la sempre più vorace richiesta di carne. Poi è arrivata la peste suina, 300 milioni di bestie sono state abbattute o seppellite vive. Si è visto in India il proprietario di un enorme «pollificio» tutto soddisfatto perché presto un miliardo di persone mangerà i suoi polli. Abbiamo visto litri di antibiotici iniettati negli animali, e poi ci si stupisce che certi microrganismi diventino imbattibili.
Ma non cadiamo nell’errore di pensare che i nostri siano comportamenti alimentari molto diversi: la stragrande maggioranza delle carni che viene mangiata e del latte che beviamo proviene da allevamenti intensivi.
Soffermiamoci su alcuni numeri:
Numero di umani che potrebbero essere nutriti con il grano e la soia consumati dai bovini negli allevamenti intensivi: 1.300.000.000.
Percentuale di avena coltivata per nutrire gli animali allevati: 95%.
Percentuale di mais coltivato per nutrire gli umani: 2%.
Percentuale di mais coltivato per nutrire gli animali allevati: 77%.
Terreno destinato alla coltivazione di vegetali: 4 milioni di acri.
Terreno destinato alla coltivazione di fieno destinato a nutrire il bestiame d’allevamento: 56 milioni di acri.
Se, come previsto, il consumo globale raddoppierà da oggi al 2050, passando da 250 milioni di tonnellate di carne consumati ogni anno a 500 milioni, il sistema attuale è destinato ad essere ulteriormente stravolto, in peggio. Speriamo di ricordarcelo anche quando sarà finita la reclusione forzata. Che allevamenti intensivi e l’utilizzo di farmaci per limitare le malattie che si sviluppano al loro interno vengano spazzati via da forme di allevamenti più virtuosi. Che il comportamento di ognuno di noi cambi a favore di un consumo più sostenibile, mangiando meno carne, latte e latticini o comunque scegliendo prodotti biologici (consigliamo la lettura di articoli già pubblicati in passato sull’argomento) I colpevoli di questa situazione siamo noi! Con con le nostre scelte scellerate apparentemente innocue, come quello di fare la spesa. I grandi cambiamenti iniziano dai piccoli gesti di ogni giorno. L’acquisto di prodotti alimentari è una scelta responsabile che può cambiare il Mondo, ma il cambiamento comincia innanzitutto dentro di noi. La Terra ci sta inviando un messaggio. Anzi, ce ne manda parecchi, per dire forse solo una cosa: mettere il profitto davanti a tutto porta solo al disastro.