“Mamma Marina e papà Valerio, uccisi entrambi il 29 gennaio dallo Stato italiano”

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Vannini

Il sindaco Pascucci è ritornato sulla sentenza di secondo grado emessa il 29 gennaio scorso per l’omicidio di Marco Vannini con una nota pubblicata sulla sua pagina Facebook intitolata ‘’A sangue freddo’’.«Uno sparo mi rimbomba nella testa. È un rumore sordo, insopportabile. In pochi istanti annienta ogni altro pensiero. Riducendolo al silenzio. Sembra il rumore di una calibro nove. Una calibro nove che spara contro un ragazzo. Una calibro nove che spara a un giovane di vent’anni che non ha fatto niente strappandogli la vita. Una calibro nove, che ha la potenza per bucare la carrozzeria di un’automobile.
Non mi dà tregua. È qui. Lo sento ininterrottamente. Ma ascolto meglio e capisco che forse si tratta di altro. Forse è il rumore della sirena dell’ambulanza, quella della prima telefonata, chiamata e poi annullata. Forse è il rumore delle urla di Marco. Le urla di Marco sotto quella seconda telefonata al 118 mentre Antonio Ciontoli racconta all’operatrice che è stato solo un piccolo incidente. Con un pettine. Un pettine. Niente di preoccupante. E che Marco si è fatto prendere dal panico.
Forse è il rumore della maglietta di Marco che cade. Quella maglietta che indossava quella sera mai ritrovata. Buttata via chissà dove. Forse è il rumore delle febbrili attività negli istanti dopo il colpo, quando ancora nell’aria c’era l’odore acre della polvere da sparo e qualcuno si dava da fare per cancellare le prove. Dopo quel colpo, spaventoso, che alcuni sostengono di non aver sentito. Forse è il rumore della voce di Antonio Ciontoli. Il rumore della sua voce mentre chiede al medico del pronto soccorso di falsificare il referto sulla ferita. Forse è il rumore di quel loro chiacchiericcio. La famiglia Ciontoli, registrata di nascosto, poche ore dopo la morte di Marco, si mette d’accordo. Prima degli interrogatori si accorda sulla versione falsa da fornire alle forze dell’ordine.
Forse è il rumore della voce del perito. Quando ci spiega che Marco si sarebbe potuto salvare. Marco si sarebbe salvato. Se avesse ricevuto assistenza nei tempi giusti. Forse è il rumore del fantasioso racconto di Antonio Ciontoli, il padre della fidanzata di Marco, che entra in bagno, mentre Marco è nella vasca, per mostrargli le pistole.
Forse è il rumore delle parole del Giudice della Corte di Appello che una dopo l’altra cadono come pietre. Pronunciano una sentenza vergognosa di omicidio colposo con una condanna per l’assassino a soli cinque anni. Lo stesso Giudice che qualche istante dopo ha il coraggio di ammonire Marina, la mamma di Marco, per il suo sfogo in quell’aula.
O forse quello che sento è il rumore della morte. È il rumore di un omicidio. Colposo però dicono i giudici. Commesso nella casa della fidanzata, là dove Marco doveva sentirsi protetto. Il rumore di un soccorso negato. Di racconti bugiardi. Di ogni parola che Marco non pronuncerà. Di una vita strappata che per qualcuno vale soli cinque anni. O forse non è neanche tutto questo. Mi fermo. E ascolto ancora. Quel suono che sento e che mi impedisce di pensare ad altro è l’urlo violento di mamma Marina e quel silenzio dolorosissimo di papà Valerio. Uccisi entrambi il 29 gennaio dallo Stato italiano. È lo straziante rumore di questo nuovo omicidio. Di nuovo a sangue freddo. Che lascerà ancora una volta tutti impuniti».