Quando i problemi diventano risorse.
Il punto di vista Ericksoniano.
A cura della Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta
Circa un anno fa ho parlato dei meccanismi di difesa che, nella terapia Ericksoniana, diventano molto spesso delle risorse perché dimostrano le modalità comportamentali e comunicative della persona. Ora voglio parlare delle problematiche che la persona porta in psicoterapia.
Una persona inizia un percorso di psicoterapia perché si trova in una situazione di forte disagio derivata da varie difficoltà accumulate nel tempo e a cui ha cercato di dare delle “soluzioni casalinghe”, soluzioni che hanno dato sollievo in passato ma che ora non lo danno più.
Queste problematiche possono essere delle modalità comunicative e/o comportamentali della persona stessa oppure situazionali (ambiente lavorativo, famigliare, coniuge, figli, ecc); spesse volte si intersecano. Cosa succede durante la psicoterapia Ericksoniana? Il terapeuta accoglie la storia di vita passata ed attuale della persona: ciò al fine di avere una conoscenza sufficientemente adeguata ma iniziale di ciò che ha portato la persona al momento attuale. Ciò permette anche al terapeuta di farsi un’idea del funzionamento psicologico e sociale della persona stessa. In questa fase, inoltre, il terapeuta ha la possibilità di fare anche un’ipotesi diagnostica attraverso cui ipotizzare un programma terapeutico personalizzato.
Ci sono delle persone, invece, che dichiarano di non voler parlare del passato perché procura loro molto dolore oppure perché vengono per una problematica specifica (per es., problemi lavorativi); in queste situazioni, l’abilità del terapeuta è quella di cogliere cenni del passato e della vita attuale e, progressivamente, di unirli in una sequenza temporale e significativa. Con la stessa delicatezza, il terapeuta può porre delle domande “nascoste” per allargare le sue conoscenze.
Con il proseguimento del percorso si può iniziare ad introdurre il concetto che il problema portato col tempo può essere considerato una risorsa. Mi spiego meglio. Una persona viene con un problema di rapporto col cibo: abbuffate. Si lavora sul disturbo alimentare (sotto varie prospettive, specifiche per quella persona) fino a quando l’intervallo tra le abbuffate diventa molto lungo (da un’abbuffata al giorno ad una al mese o una ogni tre-quattro mesi o più). A questo punto il terapeuta dice che le abbuffate possono diventare una risorsa, quasi come la spia della benzina. “Così come quando la spia della benzina è accesa vuol dire che la macchina ha bisogno di essere alimentata; così quando dopo anni, per esempio, ritorna la necessità dell’abbuffata allora vuol dire che qualcosa non va.
È importante fermarsi e osservare ciò che succede intorno e dentro di noi”. Con la psicoterapia Ericksoniana si tende ad osservare se stessi e le proprie sfaccettature sotto vari punti di vista; non è necessario, così, che il disagio portato venga eliminato completamente; viene considerato, invece, come parte di sé della propria vita ed osservato e considerato come utile nel futuro. Un altro esempio: il comportamento invasivo del partner; se la persona conosce i meccanismi mentali e comportamentali del partner li può usare in modo strategico e a “suo vantaggio”: “se lui vuole avere la conferma che io vedo le cose che pubblica sui social, dimostro di averle viste ma io non le guardo”.
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