Arriva al cinema il remake di “Papillon” con Charlie Hunnam e Rami Malek al posto di Steve McQueen e Dustin Hoffman. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Toronto, è prodotto dalla Red Granite Pictures.
di Barbara Civinini
Michael Noer fa rivivere, ancora una volta, il romanzo autobiografico di Henri Charrière: Papillon, uno dei più venduti negli anni settanta. Ma l’impresa non è facile. Si tratta di misurarsi con il film omonimo firmato da Shaffner nel 1973, ben impresso nell’immaginario collettivo. Il giovane regista danese punta su due beniamini della TV, Charlie Hunnam stella Fox di Sons of Anarchy e Rami Malek protagonista del dramma psicologico acclamato dalla rete americana, Mr. Robot. Anche se il suo film d’esordio, il dramma carcerario R (2010) – scritto e diretto a quattro mani con Tobias Lindholm – è diventato un successo internazionale, raggiungere l’intensità del film originale e soprattutto eguagliare il magnetismo delle due star di Hollywood che lo interpretarono, Dustin Hoffman e Steve McQueen, è veramente molto difficile, nonostante il diploma della Scuola di cinema danese. Secondo il regista non si tratta di un dramma carcerario, ma piuttosto di una storia d’amore raccontata nelle condizioni più estreme. Un film – dice Noer – sulla “fuga di prigione” di due uomini che inizialmente creano un accordo di protezione in cambio di denaro, ma finiscono per essere attaccati insieme dal sangue, dal sudore e dalla paura dell’isolamento. Papillon impara presto che la sua amicizia con il compagno Dega, è un motivo per rimanere in vita. La storia la conosciamo tutti. Erroneamente condannato per omicidio, Papillon stringe un sodalizio disperato con il compagno di cella, Louis Dega, con la speranza di scappare dalla famigerata colonia penale. Non si tratterebbe però di una rivisitazione di genere, né del libro o del film originale. Sono affascinato dalle somiglianze che una prigione condivide con un palcoscenico, spiega Noer. Devi tenere alta la guardia e la maschera, per non mostrare a nessuno la tua vera paura o debolezza. Questo è un tema di assoluta rilevanza, perché oggi più che mai ci sono uomini e donne imprigionati in tutto il mondo. Henri Charrière scrisse un romanzo sugli uomini, sulla prigionia e sulla tenacia dello spirito umano. Noer, invece, ha voluto raccontare una storia d’amore, scritta con il sangue e con la paura. Ma il romanzo di Charrière era veramente autobiografico? L’uscita del primo film sollevò molte polemiche circa l’autenticità del racconto a cui s’ispirava. Il giornalista francese Gerard de Villiers, sostenne che lo era solo in parte: ci sarebbero state molte somiglianze con il romanzo Dry Guillotine, pubblicato negli Stati Uniti nel 1938, in cui René Belbenoit raccontava la sua incarcerazione e la fuga da una colonia penale nella Guyana francese. Charrière fu condannato ai lavori forzati a vita per l’omicidio di Roland Legrand, presso il carcere in Guyana il 28 ottobre 1931, delitto per cui si è sempre dichiarato innocente. In tredici anni di prigionia tentò nove fughe. L’ultima evasione, avvenuta dall’isola del Diavolo, lo portò fino a Caracas in Venezuela nel 1945, dove riuscì a vivere come uomo libero. Fu graziato nel 1970.