Massimo Venturiello si racconta a L’Ortica: “Il teatro è la mia vita”

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Massimo Venturiello ci racconta la sua esperienza di attore e regista impegnato a dirigere l’Officina Pasolini di Roma

di Felicia Caggianelli

La leggerezza, da non confondere con la superficialità, potrebbe essere il primo aggettivo per Massimo Venturiello, attore poliedrico e versatile. Se non avesse fatto l’attore sarebbe diventato un cantante lirico grazie ad una eccezionale estensione vocale. È consapevole che l’attore teatrale è un artista continuamente sottoposto a ‘punti di vista’ che possono anche farti male e una delle cose che veramente ti possono aiutare è il carattere. Ama leggere e confessa che non potrebbe rinunciare alla cena dopo lo spettacolo. Non tanto per mangiare quanto per scaricare la tensione. Lo abbiamo raggiunto al Teatro Nino Manfredi di Ostia, dove ha messo in scena “Profumo di donna” .

Ettore Scola, i fratelli Taviani, Gabriele Salvatores e tanti altri registi di grande spessore con cui ha lavorato agli inizi della sua carriera. Quanto è stato importante essere guidato da questi maestri?

“Tutti gli incontri sono importanti.  Questo è un mestiere che si basa solo sugli incontri. Ogni incontro ha un senso nella vita di un attore e sicuramente qualcuno più di altri. Per me è stato importante l’incontro con Mikhalkov nel campo cinematografico. Ho potuto constatare che la cosa che manca quando fai cinema è il background teatrale. Sembrano due mondi separati invece non è così. Con Mikhalkov ho provato questa sensazione ovvero che tutto quello che avevo realizzato fino a quel momento serviva a qualcosa. Gli incontri  sono tutti sono importanti ma la mia casa è il teatro”.

Le serie tv hanno contribuito a renderla noto al grande pubblico. A suo parere quale è lo stato di salute delle fiction italiane dopo un evidente periodo di crisi?

Non se la passano proprio bene. Premesso che ci sono i cicli e ricicli. Quando ero ragazzo io c’erano i cosiddetti sceneggiati, poi sono arrivate le telenovele, le soap opera e alla fine sono nate le fiction che sono un modo di raccontare delle storie. Tuttavia, spesso devono sottostare a dei meccanismi che le impoveriscono. Ad iniziare dalla scelta degli attori sottoposti alla dinamica dell’audience. Siamo schiavi dei numeri in questa nostra epoca. Se non fai numero non conti. E spesso a fare numero ci sono persone e situazioni non sempre di grande livello artistico. Ed in questo senso anche la fiction è anche penalizzata. Tuttavia ci sono delle fiction come per esempio Il capo dei capi e Il sistema, dove ho lavorato che non sono male questo a conferma che ogni tanto succede che all’interno di questi fotoromanzi del nostro tempo qualcuno emerge. Credo che molto dipenda dagli attori e quindi dalla materia prima. Puoi avere anche una storia eccezionale ma se non hai gli attori giusti rischi di vanificare il tutto. Anche se gli attori giusti non sempre sono quelli che vanno di moda”.

Teatro, cinema, televisione e doppiaggio. Dovendo scegliere quale è il vero amore artistico di Massimo Venturiello? 

Teatro. La mia casa è il teatro ed il  mio amore è qui. Credo che tutto dipende da come inizi. Io ho speso tutto me stesso da ragazzo per poter fare questo metro e mezzo che poi è l’altezza del palcoscenico, per salire lì. La nostra era una generazione che ancora mitizzava molto il teatro, per fortuna, adesso mi sembra che un po’ si è persa questa magia, e quindi in qualche modo sembra raggiungibile con facilità, magari sogni di meno quando sei ragazzo. Io dirigo una scuola a Roma Officina Pasolini  e lì incontro ogni anno ragazzi nuovi e devo dire che sono un po’  diversi da come eravamo noi da questo punto di vista. Ovviamente hanno i loro lati positivi migliori dei nostri ma hanno perso anche qualcosa. La mia casa è il teatro perché è l’unico posto dove veramente mi sembra di usare a pieno quello che ho studiato”.

Da tempo è nella doppia veste di attore e regista degli spettacoli teatrali. Come si trova in questo duplice ruolo?

La regia è una cosa degli ultimi dieci anni. Trovo che sia una evoluzione naturale di chi svolge questo lavoro. Diventa una sorta di gioco e ti stuzzica l’idea di vederlo da diverse angolazioni ma soprattutto ti permette di coltivare dei progetti e di realizzarli in pieno”.

Profumo di donna è uno spettacolo molto particolare che il grande pubblico ricorda per i due celebri film con Vittorio Gassman ed Al Pacino. Come nasce l’idea della rappresentazione teatrale?

 “Partire semplicemente da un film è una cosa che io ho già realizzato con altri film. Cerco delle strade diverse dalle solite proposte. Il motivo per cui ho scelto questo testo è perché sentivo la necessità di raccontare che  in un epoca di globalizzazione di facilità di comunicazione si vive un profondo anonimato. Il prossimo vive accanto a noi senza che lo percepiamo come reale.  Credo che il libro di Arpino dal quale è stato tratto il film sia rimasto nella storia della letteratura italiana del 900 proprio perché rappresenta l’emblema della solitudine e della disillusione esistenziale che è incarnato nel ruolo del mio personaggio, che affronta con cinismo tutta la vita perché ha perso degli ideali anche ‘etici’ e quindi non crede più a nulla. Io non credo nel messaggio ma nella riflessione sì e il teatro è anche questo. Il cinismo di Fausto, che è il mio personaggio, è anche esilarante e nasconde un profondo senso di vuoto che bisogna riempire. È una risata che accompagna le lacrime e che comunque porterà ad una soluzione”.

Progetti futuri?

“Al momento ho un altro spettacolo che porto in scena già da qualche anno che è Barberia è un po’ un piccolo cult che racconta l’anima siciliana. Sono con me in  scena dei musicisti di musica da barba, la scuola e un film che mi vedrà attore in un prossimo film, ma per scaramanzia dico che ci sono i lavori in corso”.