GLI ANNI DELLA LOTTA ARMATA

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Arriva in sala l’opera prima di Annarita Zambrano, romana trapiantata a Parigi, figlia di magistrato. Il film presentato a Cannes e distribuita dalla I Wonder Pictures, ha avuto il sostegno della fondazione GAN, uno dei principali partner privati del cinema francese.

di Barbara Civinini

Scritto da italiani, ma realizzato con maestranze francesi, arriva sul grande schermo un film sugli anni di piombo, la strategia della tensione e l’asilo politico della Dottrina Mitterand: Dopo la guerra.  Il titolo anticipa quel periodo terribile in cui viene ambientata la storia, all’inizio del duemila, quando l’Italia ripiomba nell’incubo, ormai superato, del terrorismo con l’assassinio a Bologna del giuslavorista Marco Biagi. Il peggio – la lotta armata di fine anni settanta – il Paese se l’era lasciato alle spalle. Con l’assassinio a Bologna del professore, che pagava il conto per aver cassato l’articolo 18, il passato tornava alla ribalta con le Nuove Brigate Rosse. Lo firma, alla sua opera prima, Annarita Zambrano. Quando Aldo Moro è stato ucciso avevo 6 anni, dice la regista. Già dalle scuole medie, sia io che i miei compagni consideravamo la violenza come una cosa quotidiana, normale. E poi spiega: ho sempre pensato che la conseguenza di quegli anni bui hanno generato in Italia un completo rifiuto dell’impegno politico. Forse è per questo che la Zambrano ha voluto fare un film sulle conseguenze della colpa che ricade sulle spalle di chi resta, e sulla sua espiazione, quasi come se si trattasse di una tragedia greca. In proposito cita le Lettere luterane di Pasolini – la raccolta di articoli pubblica nel suo ultimo anno di vita dal Corriere della Sera e Il Mondo – sulla predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri, così come la generazione dell’autrice, classe 1972, si è trovata sulle spalle un conto salatissimo senza avere gli strumenti per capire nel profondo quei fatti. Ed è proprio questo, se vogliamo, il tema del film, non la giustizia ma l’impossibilità del comprenderla, e gli errori che gli uomini commettono quando sono accecati dalla smania di distinguere il giusto e l’ingiusto. La trama è incentrata su Marco Lamberti, ex-militante di estrema sinistra condannato all’ergastolo e rifugiato in Francia grazie alla Dottrina Mitterrand – interpretato da un credibile Giuseppe Battiston – che ora viene negata e per cui si trova a dover affrontare l’estradizione. La ferita riaperta coinvolgerà tutta la famiglia e soprattutto la figlia Viola, nata e cresciuta nel paese che li ha ospitati, che dovrà condividere la fuga del padre colpevole in cui troverà una morte casuale ma riparatrice. E’distrutta anche la vita della sorella Anna, a cui presta il volto Barbora Bobulova, che nonostante abbia sposato un avvocato che difende perfino le vittime dell’amianto viene coinvolta nei nuovi fatti terroristici – liberamente ispirati all’assassinio di Biagi – perché si rifanno alla Formazione Armata Rivoluzionaria a cui prese parte il fratello. Presentato a Cannes, torna a far riflettere sulla lettura politica e non criminale di quei fatti e sul confine – per alcuni molto sottile – tra “guerra civile” e “terrorismo”. Alcuni l’hanno etichettato come un’occasione perduta, un film che non è capace di riconciliarsi con la storia e nemmeno con il cinema.