Torre Flavia, la grande bellezza

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Il governo approva il progetto da due milioni di euro per il recupero e restauro conservativo del monumento simbolo di Ladispoli Torre Flavia è nello stemma del Comune ed è, nell’immaginario dei ladispolani (soprattutto dei bambini), una sentinella ferita, sempre in pericolo ma che continua a resistere.

Segna il limite verso nord del nostro territorio, come lo segnano verso sud il Castello e i resti della grande Villa Romana di Pompeo. E su resti di un altro edificio romano, Torre Flavia era stata edificata tra il 1300 e il 1400, per essere poi ampliata e ristrutturata dal Cardinale Flavio Orsini nel 1550. Faceva parte del sistema di avvistamento costituito da torri e castelli, che partiva da Porto Ercole e arrivava fino a Terracina, a vista uno dell’altro. Era stata quindi postazione militare fino all’800, poi (sempre di proprietà Odescalchi) abitazione per pastori e contadini.

Ma negli anni ‘30 e ‘40 del ‘900 inizia l’attacco alla struttura che aveva resistito per secoli. Il mare comincia ad avanzare, inesorabile, e lo farà per tutti gli anni successivi, fino ad oggi. Le onde cominciano a lambire le fondamenta, giorno dopo giorno.

Ma non è solo la natura che si accanisce, perché nel settembre del ‘43 i tedeschi, che da alcuni mesi avevano occupato Ladispoli, prevedendo uno sbarco alleato, hanno il timore che Torre Flavia (alta allora più del doppio dei resti attuali) possa diventare come un “faro” per chi deve puntare verso terra. E allora decidono di troncarla colpendola con i cannoni, fino a dimezzarne l’altezza.

Torre Flavia non è più utilizzabile, nemmeno come riparo per i pastori, anche perché il mare avanza e già dagli anni ‘50 ci si dovrà bagnare per arrivarci a piedi.

Finita la guerra, tra le macerie materiali e morali che gli italiani dovranno recuperare, per tanti anni nessuno presterà attenzione a quello che rimane della Torre dal glorioso passato, mentre le rovine si allontaneranno sempre di più dalla riva. Trent’anni di totale abbandono, in un’Italia che vuole più pensare al futuro che voltarsi a guardare il passato. L’unica cosa, peraltro molto importante, che accade riguardo alla Torre, è il passaggio nel 1952 della proprietà dagli Odescalchi all’Ente Maremma, nell’ambito della Riforma Agraria che distribuisce la terra ai contadini. Così, come il Castellaccio dei Monteroni, anche Torre Flavia diventa finalmente proprietà della collettività attraverso un Ente di diritto pubblico.

Intanto il mare avanza e continuerà ad avanzare fino al 1976, quando la Torre sarà ormai completamente circondata dalle acque, con le mareggiate che riusciranno a spaccare in quattro quello che era rimasto dopo i colpi di cannone. Finalmente in quell’anno, nell’ambito della posa in opera di barriere antierosione nella zona a nord di Ladispoli, si realizza la prima protezione di Torre Flavia: una specie di “L” rovesciata che ripara dai marosi e che in pochi anni permette il ricostituirsi di una spiaggia tra i resti e la terra ferma.

Quella che continua, invece, è l’opera corrosiva della salsedine e dei venti, ma già la barriera frangiflutti è un grande passo avanti nella difesa di quello che resta della Torre.

Passeranno altri trent’anni prima che si riesca di nuovo ad avere altri finanziamenti, non solo per fare manutenzione alla vecchia barriera, ormai danneggiata dalle mareggiate, ma per creare una difesa molto più ampia e resistente: questa volta una barriera a forma di “T” con dentro, ben protetti, i quattro monconi della Torre. Siamo nel 2010 e questa volta il risultato è molto più grande di quelli di trent’anni prima. L’acqua e le onde si riallontanano di nuovo e tra il manufatto e la terra ferma si ricrea in poco tempo una enorme spiaggia di più di 10mila metri quadrati.

E questa volta non si progetta solo un intervento di difesa “passiva” della Torre, ma il 25 maggio 2010 la Giunta comunale approva un progetto di recupero e di restauro conservativo del manufatto, a firma dell’Arch. Enza Evangelista.

Un progetto complessivo diviso in tre fasi, per un importo totale vicino ai 2milioni di euro.

La prima fase prevede la messa in sicurezza del monumento con un sistema di puntellamento delle parti in muratura esistenti e con l’ampliamento e il potenziamento delle barriere frangiflutti.La seconda fase si occupa nello specifico del restauro conservativo attraverso il riposizionamento in asse dei tronconi della Torre, il recupero delle parti lesionate e infine la ricostruzione di alcune delle parti mancanti. La terza fase prevede un progetto di fruizione e musealizzazione della Torre, mediante una struttura verticale che definisce uno spazio museale dedicato alla storia della Torre e del territorio.

Il progetto viene inviato in Regione insieme a quelli delle opere antierosione in difesa del litorale nord, comprese le barriere soffolte che avrebbero dovuto fermare l’assalto del mare alle dune che difendono la Palude posta vicino la Torre e che dalla stessa Torre prende il nome.

Ma la progettualità del Comune si scontra con la indisponibilità del bilancio regionale di quegli anni. La speranza di vedere realizzato il progetto di recupero della Torre sembra di nuovo allontanarsi.

Intanto nel 2014 la Torre diventa finalmente proprietà del Comune di Ladispoli, con l’atto di passaggio formale firmato con l’ARSIAL (ex Ente Maremma).

E mentre la spiaggia retrostante cresce anno dopo anno, la Torre, anche se ormai non colpita dalle onde, sembra piegarsi sempre di più, con i quattro tronconi residui che si appoggiano uno all’altro come in un ultimo sforzo disperato. A confermare la gravità della situazione cadono ogni tanto mattoni e pezzi di travertino.

Facciamo un altro salto in avanti e arriviamo a maggio 2017, quando il Governo approva il cosiddetto “decreto bellezza”: un bando pubblico, aperto a tutti, Istituzioni e semplici cittadini, che potranno segnalare “…un luogo pubblico da recuperare, ristrutturare o reinventare per il bene della collettività”. Il Decreto è del 5 maggio e dà tempo solo fino al 31 dello stesso mese per l’invio delle segnalazioni. Ladispoli ha il progetto già pronto, con tutti gli elaborati, e il 27 maggio parte la nostra mail, dopo la delibera della Giunta comunale.

Il Decreto del Governo prevede che sarà una Commissione tecnica ad esaminare le segnalazioni: arrivano 139mila mail con la segnalazione di 8mila siti, sparsi in tutta Italia. La somma stanziata è di 150milioni di euro per il 2017: come abbiamo già detto, il progetto di Ladispoli, da solo, prevede un importo di 2milioni di euro. Come dire: c’è poco da sperare.

Passano pochi mesi e la Commissione il 15 dicembre conclude i suoi lavori consegnando la graduatoria al Governo per l’approvazione definitiva. Il 29 dicembre 2017 la graduatoria viene approvata e pubblicata sul sito del Governo.

E qui accade l’incredibile: il progetto di recupero della Torre viene valutato come “primo” del Lazio e “quinto” tra i 273 progetti approvati per tutta l’Italia. E il grande risultato non finisce qui, perché il progetto di Torre Flavia viene finanziato integralmente e quindi quasi 2milioni di euro, sui 150 del totale per tutta Italia, vengono destinati a Ladispoli.

I quattro monconi della Torre, appoggiati l’uno all’altro per non cadere, superano nella graduatoria strutture ben più famose e grandi, dall’ex Carcere Borbonico di Ventotene ad antichi centri come Civita di Bagnoregio.

Merito della nostra Città, che nel recupero della Torre ha sempre creduto, dei tecnici, che hanno redatto un eccellente progetto di restauro conservativo, della Commissione Governativa, che ha lavorato nei tempi prestabiliti, degli eletti del territorio, che hanno sostenuto la richiesta degli amministratori, e di un Decreto del Governo, che ha puntato sulla bellezza da recuperare in luoghi che sembravano perduti per sempre.

Da antica fortezza a presidio del mare, unico luogo ove ripararsi per chilometri e chilometri, a rifugio di pastori in tempi più tranquilli; da bersaglio per cannoni durante la guerra a grande masso abbandonato e dimenticato nel mare, travolto dai marosi in tempesta. E poi obiettivo preferito dai fotografi per incorniciare la bellezza dei nostri tramonti. La torre che sembrava abbandonata, dimenticata e poi sconfitta dal tempo, ha vinto invece la sua ultima battaglia.

Proprio come diceva Leon Battista Alberti: “Ciò che resiste alla storia irrompe nel presente[…]Le rovine sono monito della precarietà, testimonianza del fluire inesorabile del tempo e contemporaneamente impulso a seguire nuovi orizzonti […] Le rovine stanno a significare che non tutto è cancellato dal tempo, anzi le rovine esortano a ricominciare da ciò che tenacemente al tempo è sopravvissuto”.

                                                                                                       Crescenzo Paliotta