DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA FORME INFLUENZALI E DIARREE INFETTIVE

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A cura del Dottor Professor Aldo Ercoli

Dottor Professor
Aldo Ercoli

Le forme influenzali possono dare febbre, dolori alle ossa, cefalea, marcata astenia oppure interessare l’apparato gastroenterico (presenza o meno di febbre, diarrea, vomito). Questi, in succinta sintesi, sono i due quadri clinici più frequenti. Le diarree infettive dovute invece a germi patogeni: diverse varietà di microrganismi, sostenute da tossine che possono invadere la mucosa gastrointestinale.

La shigella, il Campilobacterius jejuini e l’Entameba histolitica sono tutte dei germi patogeni che provocano una infiammazione intestinale e colpiscono il tratto inferiore dell’apparato digerente. A mio parere la presenza di dolori addominali è in evenienza assai rara nelle forme influenzali classiche.

L’anamnesi, ossia il primo approccio al paziente, è forse la fase, più importante al fine della diagnosi. C’è febbre, dolore addominale, talora nausea, soprattutto diarrea (acquosa, ematica, abbondante e frequente)? Tutti questi sintomi ci devono indirizzare verso una diarrea infettiva. E’ necessario chiedere quali alimenti sono stati assunti di recente dal paziente (pasto al ristorante, pic-nic, dolciumi, pesce etc).

Quello che poi è altrettanto importante è una visita accurata riguardo ai sintomi addominali. Ho visto su una nota striscia quotidiana televisiva che, ad un bambino di 3 anni, poi deceduto al Pronto Soccorso, è stata eseguita un’ecografia toracica.

Credo, non essendo in possesso della cartella clinica, che gli sia stato fatto l’ecocardiogramma. Credo che sia stato sottoposto ad un esame ecografico addominale perché l’ecografia al torace non serve a nulla, nessuno la esegue.

Tralasciando questo errore giornalistico sono del parere che anche un’ecografia addominale, in un soggetto con diarrea, con o senza febbre (nei bambini piccoli cosi come negli anziani può mancare) e dolori addominali non sia l’approccio più utile per un valido orientamento diagnostico. Io avrei eseguito una coprocoltura (es delle feci) per Salmonella, Shigella e Campyobacter sospettando una diarrea infiammatoria.

Per quanto riguarda il Campylobacter va segnalato che vi sono alcune specie ad esso correlate (come Camp. Coli, Camp. Upsaliensis) assai gravi che necessitano (oltre che alla copro coltura in terreno specifico (a 42° C) “la reintegrazione dei liquidi (flebo), di elettroliti, mentre nei casi più gravi può essere impiegata l’eritromicina (posologia a secondo del peso corporeo per circa una settimana)” (Harrison, Manuale di Medicina Interna).

La shigella ha una maggiore frequenza nei bambini e viene trasmessa, per via orale, da persona a persona. Non tutti i familiari sviluppano la malattia (20-40%). La diarrea acquosa può essere sia lieve che grave (dissenteria). La diagnosi si basa sempre sulla coprocoltura e sulla presenza dei leucociti nelle feci. Rammento che la sindrome emolitica uremica è una rara ma molto grave complicanza della shigellosi. Il trattamento anche in questo caso si basa sulla reidratazione (flebo) e sull’antibiotico terapia (ceftriaxone e.v.).

La Salmonella, assunta con i cibi e bevande (più spesso uova e pollame) ci da un quadro clinico di gastroenterite (dopo 6-48 di incubazione) in cui la diarrea è accompagnata da crampi addominali, febbre, nausea e talora anche vomito. La diagnosi si basa sia sulla coprocoltura che sull’ emocoltura (prelievo ematico). La malattia solitamente non è grave nei soggetti adulti perché si autolimita. Solo negli anziani e nei bambini molto piccoli (oppure negli immunodepressi, per esempio affetti da HIV) può avere un decorso molto grave. Un passo indietro. Riguardo alle maggiori complicanze pertinenti l’influenza classica, la più comune è la polmonite sia solo influenzale oppure secondaria da sovrainfezione batterica.

La peculiarità della polmonite batterica secondaria è la ricomparsa della febbre, con tosse produttiva (grassa) e chiari segni di ottusità polmonare (alla percussione del torace) in un paziente le cui condizioni erano migliorate pochi giorni dopo la fase influenzale acuta. Un’infezione virale acuta può provocare seri, anche se rari, gravi patologie cardiache. Le miocarditi, spesso precedute da una infezione delle vie aeree superiori, possono progredire verso una cardiomiopatia cronica dilatativa. All’inizio vi è febbre, facile stancabilità, palpitazioni poi, in presenza di disfunzioni del ventricolo sinistro una cardiomegalia (rx del torace) può portarci verso uno scompenso cardiocircolatorio.

La pericardite acuta può essere un’altra complicanza di una forma infettiva virale (altre cause sono l’infarto miocardico acuto, neoplasie con mediastasi, insufficienza renale cronica, forme idiopatiche). Il quadro clinico è quello di un forte dolore toracico che a differenza di quello cardiaco è pungente, superficiale, pleuritico e non oppressivo retrosternale. Questo dolore è migliorato piegando il tronco in avanti. È altresì presente la febbre e la tachicardia. Molto importante è l’ecg: sopraslivellamento del tratto ST concavo verso l’alto, in tutte le derivazioni tranne che in aVR e V1 che ritorna normale dopo alcuni giorni (ciò non avviene nell’ infarto cardiaco).

Sia l’RX del torace che soprattutto l’ecocardiogramma evidenziano, il primo un ampliamento del profilo cardiaco a “forma di fiasco”, il secondo conferma il versamento pericardico che in genere è associato a pericardite acuta. Tutto ciò può portare ad un’emergenza medica molto grave quale il tamponamento cardiaco. Sia il polso paradosso (caduta inspiratoria della pressione arteriosa sistolica superiore a 10 mmhg) che la distensione delle vene giugulari ci devono mettere sulla giusta strada.