Porchetta e champagne

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si-distribuiscono-i-paniniCervetrani e forestieri: qual è il confine tra ospitalità ed identità di una comunità?
di Angelo Alfani

Cerveteri, durante la sua storia moderna, si è sempre dimostrata cittadina ospitale e generosa.

Una densità di popolazione insignificante a fronte della vastità del territorio, la vicinanza con una Capitale sempre più inospitale, le ha permesso di assorbire, senza traumi incurabili, le migliaia di nuovi concittadini che, in diverse ondate, hanno spiaggiato nelle terre dell’antica Agylla.

Un popolo, quello cervetrano, ruvido come la carta vetrata, dal saluto appena accennato, ma che ha aperto il suo forziere all’umanità più varia.

Mi preme ribadire questo concetto proprio perché sono troppe, e troppo fastidiose, le voci di nuovi arrivati che si lasciano andare a giudizi derisori nei confronti dei miei concittadini, negando l’ovvietà di essere comunque stati ospitati ed accolti.

Sono soprattutto quelli che dovrebbero portare l’acqua con le orecchie ai vecchi cervetrani (quelli battezzati da don Luigi), a cercare di negare il valore comunitario che ancora, testardamente, sopravvive nel Paese. I più stupidamente irriconoscenti siedono al Granarone o vivono di soldi pubblici.

Non ci sta istituzione pubblica o religiosa contaminata, come giusto che sia, da quelli che i più ancestrali chiamano ancora forestier: dalla Banda musicale alla Confraternita, dalla squadra di calcio all’occupazione di case comunali.

A ricordare l’ospitalità del nucleo storico riporto esempi, in apparenza di poco conto, ma che invece ne suggellano il valore.

Ai tempi dei tempi, quando nella parte vecchia si frangeva l’oliva in due molini, era consuetudine che tutti potevano andare ad intingere un culetto di pane bruscato nell’olio ancora verde e profumato che scivolava in recipienti piastrellati di bianco. A nessuno veniva negato il succulento piacere.

Viene ancora ricordata la distribuzione delle ciriole che la signora Carlotta organizzava, ogni anno, in occasione della festa grande della Comunità.

In anni più recenti, ed ancora oggi grazie ai Massari di sant’Antonio, il giorno della festa del Santo protettore degli omini e delle bestie, si distribuiscono migliaia di panini con la porchetta.

Ovviamente non è il valore in sé dell’oggetto donato quanto il significato profondo del gesto.

Leggendo le somarate che circolano nei media sui Cervetrani come residuato storico, ascoltando le dichiarazioni che li marchiano come trapassato remoto da inglobare nel mare magnum dispolense, mi viene da riflettere su quanto riporta Erodoto nelle sue Storie:

Siccome quasi tutto il territorio di Cnido (colonia greca nell’Anatolia) è circondato dal mare, eccetto una piccola parte, proprio in questa piccola parte, i Cnidi, quando Arpago, grande generale Persiano, soggiogava la Ionia, avevano intrapreso lo scavo di un canale. Volevano, cioè, fare un’isola del loro paese. L’istmo su cui iniziarono a scavare il canale si trova proprio là dove il territorio di Cnido finisce verso il continente.

Ed infatti erano intenti al lavoro con molta gente, ma, poiché gli infortuni che capitavano ai lavoratori, a causa delle schegge di pietra, in tutto il corpo, e soprattutto negli occhi, apparivano un po’ più frequenti del solito e rivelavano uno speciale intervento divino, essi mandarono a Delfi degli incaricati a chiedere che cosa li avversasse.

E la Pizia rispose: “Non fortificate l’istmo e non scavate canali; poiché Zeus stesso l’avrebbe fatto isola, se l’avesse voluto”. A questa risposta della Pizia interruppero il lavoro di scavo e quando il generale Arpago sopraggiunse con l’esercito e centinaia di cammelli con arcieri in groppa, si arresero senza combattere.”