La scuola calcio che mette al centro la crescita del bambino.
Intervista a Marco Buonafiglia, responsabile della scuola calcio della Virtus Marina di San Nicola e volto noto del calcio locale
La scuola calcio della Virtus Marina di San Nicola ha fatto segnare un avvio di stagione molto positivo. Oltre all’aumento degli iscritti, la società sta ricevendo numerose conferme positive da parte dei genitori, soddisfatti di una didattica a misura di bambino. Una filosofia, quella adottata dalla società, che mette al centro la crescita del piccolo atleta attraverso una pedagogia non direttiva. Per alcuni potrebbero essere parole al vento, invece, è un progetto nel quale il direttivo crede molto e che ha trovato come suo punto di riferimento Marco Buonafiglia a cui, per il secondo anno consecutivo, è stato affidato il settore che copre una fascia d’età che va dai 5 ai 12 anni. Allenatore con brevetto Uefa B e personal trainer di secondo livello FIPE, Buonafiglia ha militato in molte realtà locali e vanta una carriera ultratrentennale da allenatore, sempre animato dalla voglia di formare i più giovani.
È proprio il mister a spiegarci come questa impostazione trova la sua applicazione pratica all’interno del rettangolo da gioco. “Gli istruttori, prima ancora che allenatori – ha precisato Buonafiglia – devono capire che prima della vittoria di una partita, di un gol o di un episodio tecnico esaltante, c’è la crescita del bambino sia dal punto di vista sportivo che formativo perché lo sport, in generale, è un mezzo determinante per lo sviluppo dei ragazzi nelle diverse fasi di vita. Allenarsi, confrontarsi, vincere o perdere è tutto fieno in cascina per avere dei transfert positivi. Se le figure di riferimento ti preparano alle diverse problematiche, riesci a crescere in maniera resiliente e ad adattarti alle diverse circostanze della vita. È importante insegnare a trovare un certo equilibrio”.
“A livello pratico, innanzitutto, bisogna portare il bambino a sapersi muovere perché i bambini, oggi, lo fanno poco, poi si può imparare a giocare a calcio. Noi cerchiamo di non dare indicazioni dirette al bambino, ma di fornirgli degli input che gli permettano di ragionare su una determinata situazione e di arrivare a una soluzione. Il compito dell’istruttore è quello di fornire gli strumenti per decifrare le diverse circostanze così da gestirle al meglio. Lo mettiamo di fronte al problema, non gli diamo soluzioni. In questo modo, il bambino non trova tutto pronto e questo ha un riflesso anche nella vita di tutti i giorni. Nel concreto, per esempio, quando un bambino commette un errore tattico, fermiamo il gioco e lo facciamo riflettere su quello che avrebbe potuto fare per evitare di incappare in quello sbaglio. È un lavoro più lungo, potremmo definirlo di semina. È inutile dare le soluzioni per vincere la partita a questa età, bisogna far incamerare bene le informazioni. Noi allenatori vinciamo quando i ragazzi mettono in pratica le cose che gli diciamo”.
“Gli allenatori, quando la società mi ha contattato, hanno accolto positivamente questi accorgimenti. Ci tengo a sottolineare che non credo che il mio sia un Vangelo da seguire alla lettera, ma, gli studi che ho fatto e le mie diverse esperienze, mi hanno fatto notare che operare in questo modo porta i suoi risultati. È ovvio che ci siano delle difficoltà e che sia impossibile applicare tutti questo modello al 100%. Tuttavia, è come se io e lo staff fossimo una squadra, una volta date le direttive, sono loro ad andare in campo e, per me, è importante che loro capiscano e che si sforzino di adottare questo metodo, anche se non in maniera totale. La prima cosa che ho detto allo staff era che volevo imparare da loro perché io sono un uomo di campo. Mi piace trasmettere le mie conoscenze, ma mi piace soprattutto il confronto. Quando vedo che dall’altra parte ci sono conferme sono estremamente felice perché tra noi c’è una grande collaborazione e ritengo tutti delle persone estremamente valide”.
“Un’altra cosa che ci caratterizza sono gli incontri periodici che facciamo con i genitori. Non è sicuramente tutto rose e fiori, ma con i miei istruttori proviamo a far crescere anche loro in ambito sportivo, cercando di far capire loro che i figli hanno una visione dello sport soggettiva e che non corrisponde al loro ideale. Spesso il genitore fa l’errore di proiettare la propria concezione dello sport sul figlio, ma il giocattolo è del bambino. È lui il protagonista. È importante che i ragazzi vengano lasciati sereni per evitare che un approccio eccessivamente negativo lo porti ad abbandonare lo sport in età più avanzata. Bisogna avere un tipo di dialogo che si sviluppa in chiave positiva ed evidenziare, anche in caso di sconfitta, cos’è andato meglio rispetto alla volta precedente per evitare di fare troppa pressione. È così che si motiva un piccolo atleta. Accettiamo tutte le critiche costruttive che arrivano, ma evitiamo quelle che potrebbero essere distruttive. Cerchiamo, quindi, di far maturare il genitore in questo senso qui”.