Francesca Comencini ritorna al grande schermo, dopo sette anni, con il film “Il tempo che ci vuole”, arrivato in sala in questi giorni. E’ il racconto del riscatto del suo difficile rapporto con il padre, interpretato da Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano.
di Barbara Civinini
Ognuno di noi ha il suo tempo per crescere e Francesca Comencini ci racconta il suo, vissuto nell’inteso rapporto totalizzate con il padre Luigi. Quasi un semidio, irraggiungibile, nel suo sguardo di bambina.
Poi oltre la boa dei sessanta, la cineasta romana lo scopre uomo fragile, da ricordare con affetto e amore, com’è naturale per una figlia. Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre emersi dai ricordi e rimasti vividi e intatti nella mia mente. Una narrazione che credo trova la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo – spiega Francesca Comencini – mentre intorno scorrono gli anni delle stragi, delle rivoluzioni sociali e della comparsa delle droghe, che stravolsero la vita di un’intera generazione.
La storia del film è molto semplice, anche se si dipana sul filo della memoria, fra ricordi i della regista e quelli delle riprese dei film più cari al padre come “Pane amore e fantasia”, “La ragazza di Bube”, o delle pellicole che aveva salvato dalla distruzione e poi donato alla cineteca di Milano. “Il tempo che ci vuole”, arrivato in questi giorni in sala, dunque racconta un padre e una figlia. Il cinema e la vita, l’infanzia e poi i grandi sbagli, senza perdersi mai. Viene prima il cinema o la vita? Forse per Luigi e Francesca vanno di pari passo, ma quando si è molto giovani tutto è più difficile da capire.
Certo il confronto con un regista di calibro che molto ha contribuito al nostro neorealismo e alla commedia all’italiana non è facile. Francesca Comencini rende tutta la sua paura di non essere all’altezza, superata grazie proprio al grande amore per il cinema nutrito da entrambi. Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, dice la regista, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me.
Nel ruolo del padre, Luigi, c’è Fabrizio Gifuni, David di Donatello e Nastro d’argento l’anno scorso per la sua interpretazione di Aldo Moro in “Esterno notte” di Marco Bellocchio, mentre presta il volto a Francesca da adulta Romana Maggiora Vergano, la rivelazione di “C’è ancora domani”, scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi.
Si tratta insomma di un’opera molto personale – alcuni sostengono il film migliore della regista – dove il tempo ha riscritto il loro rapporto quasi come in una schermaglia d’amore, mentre scorrono inesorabili il “post ’68”, gli “anni di piombo”, la “lotta armata” e poi l’impero della droga. Presentata fuori concorso al festival di Venezia, la pellicola ha avuto anche il sostegno del Ministero della Cultura.