AUMENTO ELETTROSMOG, L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ NON ESCLUDE RIPERCUSSIONI SULLA SALUTE UMANA

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“NON SIAMO IN POSSESSO DELLA DOCUMENTAZIONE CHE POSSA DIMOSTRARE L’ASSENZA DI RISCHI”. A METTERLO NERO SU BIANCO È IL DIRETTORE DEL CENTRO NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DALLE RADIAZIONI E FISICA COMPUTAZIONALE.

L’ennesima prova provata che siamo tutti cavie umane. Nessuno escluso. L’ennesimo ente istituzionale che formalmente dichiara l’assenza del rischio zero e di non aver mai prodotto un parare sanitario preventivo (tantomeno di non nocività) al Governo italiano, sia nel 2018 quando è stato venduto all’asta il 5G alle multinazionali del wireless, sia nel 2023 quando il Parlamento ha aumentato i limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico che adesso Arpa Piemonte quantifica già in +300% di densità di potenza per le antenne 5G e +200% per quelle 4G.

Ma non c’è affatto da meravigliarsi per quest’assenza di responsabilità che suona come uno scarica barile. Era già successo con l’INAIL, poi col Ministero della Salute, con l’Istituito Superiore di Sanità (ISS), e adesso l’ennesima ratifica arriva dal Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale, struttura interna all’ISS, a sua volta organo tecnico-scientifico vigilato dal Ministero della Salute.

Come le matrioske ad incastro, dicono infatti sempre tutti la stessa cosa. Non siamo “in possesso della documentazione (…) che possa dimostrare l’assoluta certezza che tale esposizione non possa avere ripercussioni sulla sua salute psico-fisica delle persone che ne sono sottoposte.”

L’ennesima conferma arriva da Francesco Bochicchio, direttore del Centro, che lo ha messo nero su bianco rispondendo ad una richiesta di accesso agli atti amministrativi di un cittadino, poi divulgata dal canale Telegram Libera Coscienza. Le domande da porsi sono molto semplici: perché, a distanza di ben 6 anni dal lancio del 5G, ancora nessuno in Italia riesce ad escludere categoricamente, senza se e senza ma, ripercussioni, effetti collaterali sulla cittadinanza esposta?

Se non il Ministero della Salute o l’Istituto Superiore di Sanità, chi altro potrebbe certificarlo? E se sono loro a doverlo fare, perché non l’hanno fatto e continuano a non farlo? Non solo. Perché se è vero come è vero che nessun ente sanitario pubblico ha mai garantito per l’aumento d’elettrosmog, allora da dove nascono tutte le certezze accampate dall’esecutivo Meloni e dal ministro Adolfo Urso (vero artefice della manovra elettromagnetica, lui che ministro della salute oltretutto non è, tantomeno essendo un medico)?

In attesa di risposte, è lecito, legittimo e assolutamente corretto definire lo tsunami 5G come un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio. E l’intera popolazione irradiata, come delle vere e proprie cavie umane che, senza il loro consenso, vengono esposte alla più grande sperimentazione mai condotta prima sulla salute pubblica.

Qui di seguito la parte significativa del documento: “Ad oggi non sono ancora accertati e riconosciuti a livello internazionale effetti sulla salute connessi ai livelli di esposizione fino a 15 V/m, ammessi, secondo la vigente disciplina nazionale (risultante dalle modifiche introdotte con la Legge n.214 del 30/12/2023), nei luoghi adibiti a permanenze prolungate, nonché nelle aree intensamente frequentate.

D’altra parte, questo Istituto non è in possesso della documentazione richiesta, cioè documentazione “che attesti studi e rischi/benefici calcolati sulla base dell’esposizione giornaliera prolungata ai campi elettromagnetici di elevata intensità e potenza assimilabili a quelli risultanti dai nuovi più alti limiti concessi dalla Legge n.214 del 30/12/2023, che possa dimostrare l’assoluta certezza che tale esposizione non possa avere ripercussioni sulla sua salute psico-fisica delle persone che ne sono sottoposte”.